Sono sempre più frequenti i disastri ambientali riconducibili all’uomo. Quello che è successo lo scorso 25 luglio nell’oceano indiano, a sudest dell’isola tropicale di Mauritius, ci invita a riflettere e a trarre conclusioni importanti. L’uomo è la causa principale del deterioramento del nostro eco-sistema. Siamo noi stessi a mettere a rischio la sopravvivenza del mondo in cui viviamo, senza renderci conto che stiamo raggiungendo un punto di non ritorno. Un punto che dovrebbe far paura, ma che, invece, sembra ignorato da gran parte della gente. È quindi inutile lamentarsi e restare a guardare, quando l’unica cosa da fare sarebbe prendere in mano le redini della situazione.

Il disastro ecologico alle Mauritius

Prendiamo per esempio l’indicente alle Mauritius dove la nave mercantile giapponese Wakashio, dopo essersi incagliata nella barriera corallina e spezzata in due, ha riversato in mare più di 1000 tonnellate di carburante. Il combustibile si è velocemente sparso nelle acque turchesi della laguna, e due settimane dopo il governo locale ha dichiarato l’emergenza sanitaria.

Questo incidente dimostra ancora una volta come l’uomo non solo non sia in grado di assumersi le proprie responsabilità, ma anche come non riesca ad imparare dai propri sbagli. Eventi simili sono infatti già accaduti in passato, come lo scontro della petroliera Exxon Valdez con una barriera in Alaska, che nel 1989 causò il riversamento di 11 milioni di galloni di petrolio in mare. Secondo uno studio del 2007 della National Oceanic and Atmosferic Administration, circa 98 mila litri di petrolio contaminino ancora le coste della zona e la popolazione locale mostra ancora segni di avvelenamento da idrocarburi.

Quello che fa più rabbia però, è sapere che molte volte si tratta di incidenti che avrebbero potuto essere evitati o comunque contenuti grazie ad interventi più immediati, come per esempio quello della Wakashio. Come testimoniato da alcune fonti, pare infatti che a bordo della nave fossero in corso dei festeggiamenti, e che l’avvicinamento alla costa fosse stato messo in atto per riuscire ad ottenere una migliore copertura telefonica. Quest’informazione porterebbe chiunque a puntare il dito contro il comandante, ma, com’è ben risaputo, la colpa non è mai attribuibile ad una sola parte.

Anche le autorità dell’isola hanno compiuto un passo falso: I primi interventi di soccorso sono iniziati infatti quasi una settimana dopo l’incagliamento della nave, rendendo quindi vana la corsa contro il tempo dei cittadini che si sono resi disponibili, anche con strumenti rudimentali come tessuti, foglie di canna da zucchero e bottiglie di plastica, per tentare di tamponare i danni. Le autorità si trovano quindi sotto processo, con l’accusa di aver tardato nei soccorsi, e di aver dichiarato l’emergenza quasi due settimane dopo l’incidente.

Mauritius disaster
Photo by imo.un, via wikipedia

Le conseguenze

Gli effetti di questi eventi sono devastanti, e colpiscono il nostro ecosistema in modo irreversibile. Il carburante riversato in mare dalla nave Wakashio ha riportato un grande danno alla flora e alla fauna marina, cambiando per sempre le loro condizioni di sviluppo.

Non è però solamente il carburante in mare che preoccupa, sono infatti moltissime le altre sostanze tossiche che ogni giorno l’uomo sversa nell’ambiente. In primis troviamo la plastica, materiale sempre più diffuso, e per il quale non si è ancora trovato un metodo di smaltimento efficace.

Secondo alcune fonti, oggi negli oceani si trovano più di 150 tonnellate di plastica, destinate ad aumentare ancora se la produzione non dovesse fermarsi. Quelli che ci vengono forniti sono dati davvero preoccupanti, se si pensa che un piccolo contenitore di questo materiale impiega tra i 100 e i 1000 anni per essere smaltito.

La plastica è il principale nemico della fauna marina; per questo molte specie si stanno estinguendo, e alcune si trovano in grave pericolo. Fonti affermano che alte percentuali di plastica sono state rinvenute all’interno delle viscere della maggior parte degli uccelli marini, e molti muoiono, come per esempio le tartarughe marine, scambiandola per meduse ed inghiottendola.

plastica in mare: pesce catturato da una busta di plastica
Plastica in mare: pesce catturato da una busta di plastica. Foto di Naja Bertolt Jensen on Unsplash

L’uomo non è però immune a tutto questo, ed anche la nostra salute ne risente. Ogni anno è infatti sempre più alta la percentuale di plastica che ingeriamo: oggi equivale più o meno alle dimensioni di una carta di credito a settimana.

Questo è l’effetto più evidente dell’inquinamento, ma nella conta dei danni non dobbiamo tralasciare l’economia, soprattutto per quanto riguarda il settore turistico. Torniamo all’esempio
del disastro avvenuto lo scorso luglio sulle isole dell’oceano indiano, il carburante in mare ha avuto conseguenze negative anche per il turismo, già in crisi a causa della pandemia che sta
colpendo tutto il mondo. In molti hanno infatti rinunciato a trascorrere le vacanze in quello che è considerato come uno dei luoghi più paradisiaci della terra, compromettendo le attività
commerciali locali, che vivono per la maggior parte solamente grazie alla presenza dei turisti.

In conclusione, possiamo tristemente affermare che l’uomo sta lentamente contribuendo alla sua estinzione. Evento che è ormai destinato ad avvenire, ma che possiamo però rallentare
grazie ad una forte attività di sensibilizzazione. Non si pretende un cambiamento repentino, ma tanti piccoli gesti che, a lungo andare, potrebbero portare ad un piccolo miglioramento. Se tutti ci provassimo, potremmo forse riuscire ad alleggerire il peso dei nostri errori che grava sulle generazioni future.

Immagine di copertina: foto di imo.un, via wikipedia

Francesca DugoArticolo di Francesca Dugo. Mi chiamo Francesca, ho 21 anni e sono nata e cresciuta a Trento. Sto studiando lingue moderne all’università, e il mio sogno più grande è quello di riuscire a visitare ogni angolo del mondo.