Esperienze autentiche e itinerari verdi … ecco il Nepal raccontato da Marco, Virginia e Arianna

Nel mese di settembre 2022, quattro studenti dell’Università di Trento frequentanti il corso di laurea magistrale in Management della Sostenibilità e del Turismo, sono partiti alla volta del Nepal per un’esperienza di tirocinio presso un’agenzia viaggi locale. Noi di Ecobnb abbiamo intervistato tre di loro, Marco, Virginia e Arianna, per sapere di più sulla loro esperienza in questo magnifico Paese.

1. In cosa consisteva la vostra esperienza esattamente e quali erano gli obiettivi del vostro tirocinio?

Nepal
Paesaggio nepalese, foto di Arianna

Marco: Siamo studenti della magistrale Management della Sostenibilità e del Turismo dell’Università di Trento. Siamo qui in qualità di tirocinanti per Garima Voyage Travel & Tours, un tour operator gestito da Federica e Rabindra, due persone ambiziose che credono in un progetto di sviluppo turistico sostenibile in Nepal. Tra i vari lavoro di supporto all’attività del tour operator spiccava senz’altro il lavoro per la certificazione di destinazione sostenibile di Melamchi e Panchpokhari. Un progetto a lungo termine che è solo all’inizio, molto sfidante in un paese come il Nepal. Ognuno di noi aveva un diverso campo di competenza legato al proprio lavoro di ricerca tesi. Io mi sono focalizzato sulla gestione del rischio e la mitigazione dei disastri ambientali.

Virginia: mi sono occupata maggiormente dei documenti relativi alle homestay (una particolare forma di struttura ricettiva molto comune in Nepal), come le linee guida per la loro iscrizione sui social e la creazione di customer feedback system. È  stato inoltre aggiornato un database in cui vengono inserite le homestay mappate in vare zone. Dopo di che è stato fatto un report per la municipalità sulle condizioni di queste homestay rispetto al raggiungimento degli obiettivi della certificazione.

Arianna: L’obiettivo dietro il nostro lavoro è il raggiungimento di una certificazione di destinazione sostenibile, un processo ancora in fase embrionale che richiede interventi di ogni genere. Io, in correlazione al mio lavoro di tesi, mi sono occupata di evidenziare gli ostacoli che sono stati riscontrati nel processo. Al contempo ho curato i canali social del tour operator e partecipato, insieme al resto del team, al processo di mappatura e di raccolta dati soprattutto in relazione alle homestay nell’area di Panch Pokhari.

2. Cosa vi è piaciuto di più e cosa di meno della vostra esperienza?

Foto di gruppo in Nepal

Marco: Dei nepalesi ho apprezzato la calma. Da loro le cose si pianificano spesso un po’ come viene, e se funzionano bene altrimenti pace. I trasporti sono un esperienza mistica di scomodità, certezza che qualcosa accadrà per farti arrivare in ritardo, scoramento e disperazione. Non posso dire di averci fatto l’abitudine, i viaggi in autobus sono davvero impegnativi. Però ho imparato la compassata serenità dei nepalesi verso il tempo che scorre e verso la scomodità. A parte alcuni individui fuori dall’ordinario nessuno di loro ha fretta, sembra che il tempo non scorra e se oggi non si fa qualcosa lo si farà domani, che problema c’è?

Quello che non mi è piaciuto, invece è la confusione, la prevaricazione degli spazi personali e la percezione che sia difficile riuscire a stare con se stessi senza che qualcuno ti tartassi di domande apparentemente inutili, senza un clacson che sveglia tutti alle sei del mattino, l’inquinamento o la calca di un autobus. I nepalesi sono chiassosi, rumorosi e sempre super attivi. Apprezzo il silenzio, anche nelle città. A volte è davvero difficile non perdere la calma in tutto questo marasma caotico.

Virginia: È stato molto bello e credo la parte più interessante sia stata conoscere molte persone nepalesi durante il lavoro, capire a pieno la loro cultura e loro la gentilezza. Molte di loro si impegnano moltissimo per raggiungere degli obiettivi che in un paese difficile come questo sono veramente lontani, però non mollano e ce la mettono tutta nonostante le difficoltà. Ci siamo introdotti a piano nella loro cultura e ci siamo sentiti parte di loro. In ambito lavorativo però è molto difficile coordinarsi con loro, non hanno la cognizione del tempo o di rispettare degli impegni presi. Sono molto diversi da noi occidentali frenetici sotto questo punto di vista, fanno le cose con calma e a volte non pensano alle conseguenze. È comunque difficile gestire le cose qui. Ci vuole molta pazienza, molta calma e sopportazione molte volte.

Arianna: È davvero difficile rispondere a questa domanda perché ci sono molti aspetti del Nepal che ho odiato ed amato allo stesso tempo. Ad esempio, la concezione che hanno del tempo è davvero molto diversa da quella occidentale. Non c’è frenesia nei ritmi nepalesi, e questo è un aspetto che mi ha trasmesso molta tranquillità e mi ha permesso di uscire da quel meccanismo che mi faceva sentire costantemente in ritardo. Allo stesso tempo però quando non venivano rispettati gli orari o addirittura i giorni stabiliti per gli incontri era spesso snervante.
Sicuramente ho tanto apprezzato la grande umanità e la voglia di socializzazione dei nepalesi. Le chiacchierate sugli autobus con persone appena conosciute e subito pronte a darti consigli e ad aiutarti senza secondi fini mi hanno aiutato tanti ad avere più fiducia nel prossimo.
L’organizzazione, invece, è stata una delle cose che più mi ha messo alla prova. Sapere di dover andare via per qualche giorno o di dover partecipare ad una conferenza solo poche ore prima dell’evento è una modalità totalmente lontana dalle mie abitudini.

3. Qual è stato il momento più bello della vostra esperienza?

Marco che fa yoga e foto di gruppo

Marco: Ho partecipato ad una spedizione alpinistica assieme a Garima Voyage. In breve la spedizione si proponeva di aprire una nuova via sul Ganchenpo, una montagna alta 6378 metri. Vado spesso in montagna e di frequente faccio vie ferrate, ma non mi sentivo preparato per questa esperienza. Tuttavia il classico ottimismo nepalese mi aveva convinto che fosse qualcosa perfettamente alla mia portata.

Ci sono state alcune dinamiche interne che mi hanno messo ansia che non mi aspettavo. Più volte ho riflettuto sul fatto che forse fosse meglio per me non tentare la vetta. Questo mi buttava giù perché avevo investito molti soldi e sognato molto per questa esperienza unica. Un giorno ho deciso di farmi un giro sopra il campo base da solo, avventurandomi in un sentiero usato dai pastori che si confondeva tra rocce, neve e ruscelli asciutti. Immerso in nuvole basse camminavo per esplorare, per perdermi in un luogo che non conoscevo e assaporarne l’essenza da solo. Inaspettatamente le nuvole si sono aperte e ho raggiunto un pianoro con una vista spettacolare. Lì ricordo di aver accettato la possibilità di non salire in vetta con serenità. In fondo era un viaggio stupendo anche così.

Virginia: È difficile dirlo veramente, ci sono stati tanti momenti difficili che abbiamo condiviso insieme come una famiglia ma poi riuscivamo insieme a risolverli e riderci sopra per resistere. L’esperienza vissuta durante la spedizione per l’apertura della cima del Ganchempo è stata molto intensa. Una delle esperienze più forti, c’era la fatica nel camminare, lo stress, tanti problemi che sono insorti ma la bellezza dei panorami, la gentilezza delle guide nepalesi e dei portatori che ci accendevano il fuoco per scaldarci o quando ci portavano il thè alle sei di mattina. Le persone per me sono state la cosa più bella che ha fatto veramente la differenza.

Arianna: Anche qui è davvero difficile scegliere un solo momento, ma senza dubbio alcuni dei momenti più belli li ho vissuti durante la spedizione esplorativa verso la cima del Ganchenpo. Nonostante io non sia arrivata a conclusione del progetto a causa di alcuni ostacoli oggettivi che mi hanno fatto rendere conto di non essere in grado di proseguire, ho imparato davvero tanto nei pochi giorni in cui sono stata presente. L’atmosfera che si è creata durante questo percorso ha creato tanti legami, nonostante gli ostacoli comunicativi. Vivere diversi giorni completamente fuori dal mondo, senza poter sentire nessuno da casa per la mancanza di rete telefonica, mi ha permesso di godermi a pieno l’esperienza senza distrazioni da stimoli esterni, e mi ha anche dato modo di conoscermi meglio. Sono emersi lati del mio carattere che nel tempo avevo represso, o che non sapevo di avere.

4. Cosa non dimenticherete mai di questa esperienza?

Foto di gruppo in Nepal

Marco: Se riprovassi a salire sul Ganchenpo cento volte forse riuscirei a salire in cima quattro o cinque di queste. Non era assolutamente un viaggio alla mia portata, soprattutto contando il modo con cui il team nepalese affrontava la salita, lasciandomi molta autonomia. Mi sono fermato intorno a 5800 metri, distrutto dalla mancanza di ossigeno e dal vento freddo delle 4 di notte. Eppure quando sono sceso, la sensazione di aver fallito non mi ha straziato come avrei immaginato. Mi sono reso davvero conto che ci sono cose più grandi di me che non sono pronto a fare. Ho imparato ad accogliere i miei limiti molto meglio. Ovviamente i miei amici nepalesi mi hanno detto che un giorno proveremo a salirci insieme. Onestamente non mi interessa riprovarci, anche se il ricordo della fatica sbiadisce in fretta mi ricordo razionalmente cosa avevo pensato: che bisogno c’è di soffrire così tanto per arrivare in cima? Sarà un pensiero stupido, ma le montagne sono belle anche viste da sotto.

Virginia: Come detto prima le persone ma vorrei aggiungere anche i bambini. Siamo andati a visitare delle scuole e i bambini sono meravigliosi, non hanno nulla, ma appena ti vedono sono molto curiosi di capire chi sei da dove vieni, sono molto affettuosi. Non ci si può dimenticare dei paesaggi che abbiamo visto, sia durante la spedizione che durante il nostro viaggio nel Mustang. Abbiamo visto dei paesaggi surreali e alcune delle montagne più alte del mondo, fa molto strano essere lì sotto di loro, è un’emozione molto forte difficile da spiegare. È un paese che all’inizio odi, non capisci, perché molto molto lontano dai canoni occidentali, te ne vorresti andare subito come è successo a me. Poi ti adatti, sopporti e inizi ad abituarti a vedere cose che mai nella vita avresti pensato di vedere. Sicuramente anche la tantissima povertà che c’è. Poi però ti dà tanto e lo ami, ti rimane nel cuore e non potrai mai dimenticarlo.

Arianna: Torno a casa assolutamente soddisfatta di questa esperienza che ha dato una spinta considerevole ad un cambiamento personale che era già in atto da qualche tempo. In questi tre mesi ho sicuramente rivisto il mio modo di affrontare la vita e gli eventi che ne derivano. Ho imparato a fare un po’ più attenzione agli aspetti positivi delle cose, perché in questo paese se ci si sofferma sugli aspetti negativi ci si demoralizza molto facilmente. Inoltre, ho appreso che ognuno ha i suoi tempi e che spesso la corsa verso la meta rende solo più stressante un percorso che ha le potenzialità per essere meraviglioso. Ho anche imparato, in parte, a misurare i miei limiti, una cosa che non sono mai stata in grado di fare. E ho anche scoperto che, con una certa probabilità, tra i miei antenati c’è un nepalese. Questo perché in tre mesi qui non c’è stato un giorno in cui non mi sentissi dire almeno una volta “you look like Nepali”.

5. Possibili scenari di sviluppo di turismo sostenibile in Nepal

Tempio nepalese
Tempio Nepalese, foto di Arianna

Il Nepal è un paese ancora molto povero, in cui mancano i fondi per le iniziative turistiche, e in molti posti manca una visione. Però la cultura dell’ospitalità è fortemente radicata nel territorio e i nepalesi non mancano di iniziativa. In futuro si tratterà di insegnare ai locali i concetti della sostenibilità che mancano spesso a livello base.

Sarà importante differenziare geograficamente l’offerta turistica per evitare l’overtourism che sta già snaturando alcuni posti come l’area dell’Everest o del Circuito dell’Annapurna. È importante notare come i turisti extra-continentali siano quelli che vengono qui per fare trekking, mentre dall’area SAARC arrivano principalmente pellegrini. Quest’ultimi utilizzano jeep e autobus per arrivare fino a villaggi anche molto in alto, inquinando (anche acusticamente) e facendo scomparire l’originale frugalità e ruralità di alcuni luoghi. Crediamo che ci sia molto da lavorare sulla mentalità dei turisti locali.

In copertina: da sinistra Marco, Chiara, Virginia e Arianna


Autore: Beatrice Maffei

Ciao! Mi chiamo Beatrice e sono una studentessa di Management della Sostenibilità e del Turismo presso l’Università di Trento. Mi piace molto viaggiare e scoprire nuovi luoghi vivendoli il più possibile da “local”, immergendomi nelle tradizioni e nella cultura locali. Amo la natura e mi piace fare lunghe passeggiate ed escursioni assieme ad amici e famigliari. Durante i miei studi ho trascorso dei periodi all’estero in Spagna e in Finlandia.
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