Rinunciare al superfluo e pensare un mondo sostenibile: la decrescita felice mette l’ambiente e la qualità di vita davanti all’idea di crescita economica. Ecco la decrescita felice spiegata in modo semplice, più 5 luoghi dove sperimentarla in Italia.
La decrescita felice è una corrente di pensiero politico, economico e sociale alquanto rivoluzionaria. La sua storia è piuttosto recente, in questi 40 anni ha attratto molti consensi, ma anche molte critiche. Tuttavia spesso le opinioni su questo tema si fermano al concetto teorico di decrescita e arrivano da una conoscenza poco approfondita del tema. Questo articolo ha lo scopo di dare un’introduzione al tema della decrescita felice, per stimolare la riflessione sull’attuale situazione economica e magari invogliare alla lettura di altri testi per conoscere meglio questa corrente di pensiero.
Cos’è la decrescita felice e chi l’ha ideata
Per decrescita si intende una riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi. L’obiettivo di questa decrescita è quello di poter ripensare le relazioni tra uomo e natura in un ottica di equilibrio ecologico. Un equilibrio che si può mantenere solo applicando uno sviluppo sostenibile e ripensando gli indici di sviluppo tradizionali. (vedi Decrescita in Wikipedia)
Gli ideatori di questa corrente di pensiero sono Serge Latoche e Maurizio Pallante, l’uno per il concetto di decrescita, l’altro per averla pensata come “felice”, anche se i primi riferimenti sono datati 1979. La decrescita nasce in opposizione al modello di crescita dell’economia, valutata attraverso il PIL l’indicatore su cui si basano quasi tutte le economie nazionali.
Il concetto di “decrescita” è difficile da mandar giù e spesso vengono spontanee domande del tipo: allora dobbiamo ritornare all’epoca preindustriale? Vuol dire che non dev’esserci più sviluppo, dobbiamo rinunciare all’innovazione? Come potrà un’economia retrograda sfamare la popolazione mondiale? una decrescita c’è già stata nel 2008, vuol dire la perdita di centinaia di migliaia di posti lavoro?
La risposta è No. Anche se si tratta di argomenti complessi, che meritano una spiegazione approfondita, proviamo a rispondere brevemente e per punti, ragionando in termini di decrescita felice:
- Non è necessario un ritorno all’epoca preindustriale. La decrescita intende rinunciare, dove possibile, alla produzione di ciò che non è sostenibile. Non si intende rinunciare al consumo di tutte le fonti che non sono rinnovabili, ma piuttosto preferire soluzioni che ne limitano il consumo il più possibile ed eliminare le altre.
- L’innovazione è parte integrante della decrescita perché necessaria per trovare soluzioni alternative ai processi produttivi che non sono sostenibili. Si parla di indirizzare l’innovazione verso soluzioni che non producano esternalità. Anche se sono difficili da finanziare, perché non producono ricchezza, possono essere retribuite attraverso il risparmio che comportano.
- La decrescita può permettere la ridistribuzione della ricchezza e favorire le fascia più povera della popolazione. Uno stile di vita dove i consumi sono ridotti può anche essere più accessibile alla popolazione più povera. Spesso a pagare il costo dell’inquinamento e dei consumi esagerati è proprio lo Stato, che provvede allo smaltimento dei rifiuti, alla sanità e altri costi che vengono dati per scontati. Risparmiando queste spese potrebbe essere in grado di fornire migliori servizi.
- Quella del 2008 non è stata una decrescita programmata. Lo stile di vita abituale non è stato sostituito da uno stile di vita con consumi ridotti. In pratica le decrescite che ci sono state precedentemente nella storia non sono paragonabili, perché erano impreviste e non era disponibile nessuna alternativa per chi ha perso il suo lavoro.
Un esempio semplice per ragionare sulla decrescita felice
A questo punto aggiungo una riflessione personale sulla decrescita felice, che potrebbe variare leggermente dall’idea proposta da Pallante. “E se la decrescita fosse un passaggio necessario per poter pensare in futuro a uno sviluppo che sia davvero sostenibile?”
Per spiegarmi meglio mi rifarò all’esempio di un albero, che come tutti gli alberi vorrebbe continuare a crescere per tutta la vita:
Come la maggior parte dei vegetali questo albero per vivere ha bisogno di luce e dei nutrienti che prende dal terreno (compresa l’acqua). Si rifornisce di anidride carbonica durante il giorno e di ossigeno durante la notte.
Supponiamo che questo albero sia già mediamente grande e sviluppato (un po’ come l’economia italiana). Supponiamo anche che questo albero sia cresciuto molto rapidamente negli ultimi anni. Il problema è che questo albero è nato in un vaso. Il vaso è indubbiamente molto grande e gli permette di crescere ancora, ma è pur sempre limitato. Questo vaso si trova all’interno di una serra, quindi anche l’aria è limitata.
A un certo punto l’albero si accorge che nel giro di pochi anni ha già consumato il 30% dei nutrienti presenti nel vaso. Non solo, per crescere così rapidamente ha anche inquinato una parte della terra del vaso, da cui non riuscirà più a estrarre nutrienti.
Capisce che può smettere di inquinare se cresce un po’ più lentamente e in questo modo potrà diventare molto più grande e vivere più a lungo prima di consumare tutto. L’albero decide che d’ora in poi non inquinerà più e crescerà un po’ più lentamente.
Guardando i suoi rami si accorge inoltre che alcuni di questi sono totalmente inutili, non riescono a raggiungere la luce solare e sono inutili per fare la fotosintesi e assorbire l’anidride carbonica. Lui li aveva lasciati crescere prima perché li trovava belli e perché era ossessionato dal crescere in ogni direzione. A causa di quei rami ora assorbe una parte di ossigeno anche durante il giorno.
Pensando al suo futuro si accorge però che se volesse crescere ancora dovrebbe continuare a nutrire anche questi rami che non gli danno nessun nutrimento e consumano l’ossigeno che è limitato nella serra.
L’albero ha capito che continuando a crescere da come è ora si ritroverà soffocato ancor prima di consumare tutto il terreno. Con un po’ di dispiacere l’albero decide di rinunciare a tutti i rami inutili. Rinunciando a tutti questi rami l’albero si ritroverà ad essere più piccolo di prima, effettivamente sarà “decresciuto”. Ora però, è certo che potrà crescere molto più grande e sano prima di consumare tutti i nutrienti del vaso e vivrà in un’aria pulita.
…Magari un giorno sceglierà di non crescere più e allora avrà la possibilità di vivere ancora più a lungo e avrà il tempo di pensare a un’alternativa che gli permetta di non consumare mai tutti i nutrienti…
Avresti fatto lo stesso al posto dell’albero?
Ora questo esempio è solamente teorico, ma serviva a rendere più comprensibile il concetto di decrescita. Io credo che noi ci troviamo nella situazione dell’albero.
E’ arrivato il momento di pensare a uno sviluppo sostenibile, questo è certo e forse passando attraverso una decrescita potrebbe essere molto più facile da realizzare. Bisogna considerare che esistono altri indici di sviluppo, alternativi al PIL , come il World Happiness Report, o l’Indice di sviluppo umano. Non è detto che una decrescita del PIL comporterebbe anche una decrescita di questi indici.
E’ per questo che si è scelto di chiamarla decrescita felice, perchè se invece di guardare il PIL guardassimo il benessere delle persone, questo tipo di decrescita potrebbe anche rendere le persone davvero più felici.
Criticità della decrescita
Un cambiamento così radicale, non può non avere delle criticità nella sua applicazione. Immaginando di applicare questa decrescita le difficoltà non mancano. Ad esempio tutto il sistema finanziario si regge sull’ipotesi di una crescita futura. I tassi d’interesse, la valutazione delle azioni si basano sulla prospettiva di crescita futura. Chi sarebbe disposto ad investire in un economia che genera un reddito negativo?
Probabilmente sarebbe proprio il sistema finanziario la sfida più grande nell’applicazione di una decrescita.
5 luoghi per sperimentare la decrescita felice in vacanza
Intanto c’è chi non si è fatto troppe domande e ha deciso di sperimentare in prima persona la decrescita felice.
E’ proprio dal piccolo che partono i grandi cambiamenti. Alcuni eco-villaggi, agriturismi biologici e fattorie ecologiche hanno deciso di vivere la decrescita già da molti anni. Così anche gli ospiti possono sperimentare in prima persona stili di vita sostenibili e toccare con mano i vantaggi della decrescita felice. Eccone alcune:
1. La Fattoria dell’Autosufficienza, Emilia Romagna
La Fattoria dell’Autosufficienza è una centro di ecologia applicata, nel Parco delle Foreste Casentinesi, che ha l’obiettivo di sperimentare, proporre ed insegnare stili di vita sostenibili sostenibili nel tempo. Qui puoi soggiornare in ambienti arredati con materiali naturali, che utilizzano solo energia pulita, proveniente da fonti rinnovabili. L’autosufficienza alimentare è uno dei pilastri della decrescita felice della fattoria.
2. Ecovillaggio Torri Superiore, Liguria
Un antico borgo semi-abbandonato trasformato in uno dei primi eco-villaggi in Italia. Torri Superiore ha una lunga storia avvincente alle spalle. Oggi vi abitano stabilmente circa 20 persone, e gli ospiti sono i benvenuti. Soggiornando a Torri Superiore – anche solo per qualche giorno – si può toccare con mano la sostenibilità. il rispetto dell’ambiente e l’idea di decrescita felice. L’ecovillaggio organizza numerosi eventi, festival e corsi di cucina sostenibile.
3. Casale il Baronetto, Abbruzzo
Casale Baronetto è un agriturismo biologico immerso nell natura incontaminata, tra le colline abruzzesi. I proprietari, esperti di energie rinnovabili, hanno abbracciato uno stile di vita semplice e all’insegna dell’autosufficienza. La struttura è infatti completamente autonoma a livello energetico. Gli ospiti possono partecipare alle attività della fattoria, gustare i prodotti freschi appena raccolti.
4. Mater Torre Guaceto, Puglia
Nell’Alto Salento, incastonato tra il mare e gli uliveti secolari, a due passi da Ostuni e dalla Valle d’Itria, Mater Torre Guaceto è immerso nella riserva marina di Torre Guarceto. Questa azienda biologica punta a ridurre al minimo gli sprechi. L’antico edificio è stato ristrutturato secondo i principi della bioarchitettura. Oggi è una casa passiva efficiente, che accoglie gli ospiti in bellissime stanze arredate con mobili di recycling. L’azienda agricola biologica pratica la permacultura e l’autosufficienza energetica.
5. Tribewanted Monestevole, Umbria
Un antico borgo ristrutturato nella campagna Umbra. Circondato da oltre 40 ettari di coltivazioni biologiche, che un tempo erano terreni incolti abbandonati. Tribewanted minimizza gli sprechi, utilizza fonti di energia rinnovabili e offre un’esperienza rilassante a contatto con la natura. L’ecovillaggio vuole ispirare gli ospiti ad abbracciare uno stile di vita più sostenibile.
Avete altri esempi di decrescita felice da raccontarci?
Fatelo commentando questo post!
Immagine di copertina: foto di Krzysztof Niewolny on Unsplash