Chi ha avuto la fortuna di visitare l’Islanda conoscerà le Turf house, uno dei primi esempi di bioedilizia nella storia dell’uomo.
Furono i Vichinghi a costruire queste case speciali, per sopravvivere a condizioni climatiche spesso estreme. L’idea di base, infatti, è quella di utilizzare un tappeto erboso come isolante termico, per sopravvivere anche nei mesi più freddi.
Le Turf House sono edifici risalenti al IX secolo costruiti in legno e pietra e poi ricoperti di un manto spesso di torba, che può resistere sino a 70 anni.

Dove arrivarono i Vichinghi, arrivarono anche le Turf house. E ancora adesso in Norvegia, Irlanda, Scozia, Groenlandia e nelle Isole Faroe è piuttosto comune vedere case, anche se abbandonate, coperte dall’erba, che diventa parte integrante del tetto e, a volte, delle pareti.

Anche se le Turf House fanno parte della tradizione di diversi paesi nordici, il caso dell’Islanda rimane unico. Nell’isola, infatti, le case ricoperte di verde non venivano costruite solo per i meno abbienti come negli altri casi, ma i manti erbosi di torba ricoprivano ogni tipo di edificio e le case di abitanti appartenenti a diverse classi sociali. È per questo che lo stato islandese ha richiesto il riconoscimento delle sue Turf House come eccezionale ed unico esempio di architettura vernacolare e come Patrimonio mondiale dell’UNESCO. Senza dubbio si tratta di una bellezza culturale del mondo e di una testimonianza di una importante tradizione di una civiltà scomparsa.

Le Turf House rappresentano anche un meraviglioso esempio di come la natura sia spesso la soluzione e di come il risparmio energetico sia possibile nei più disparati modi.
Non sarebbe bello se i palazzi grigi delle nostre città venissero sostituiti da case verdi?

Turf House
Turf House, foto di Steve L. Martin via Flickr

Foto di copertina di rationalcog via Flickr

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Autore: Chiara Marras

Sono Chiara, 30 anni, una laurea in tasca e tanti progetti in mente. Credo fortemente nel web come punto di scambio e divulgazione e penso che uno dei temi più urgenti in questo momento sia l'eco-sostenibilità. Perché allora non riscoprire il viaggio come unione con la natura e con la cultura locale?
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