Dicono che qui non c'è mai niente da fare. Dicono che è la città dei vecchi. Dicono che, a dire il vero, non è nemmeno una città, ma l'unione di tre grossi paesi. Né carne né pesce insomma. Forse solo alborelle fritte.

Eppure io in Verbania ho sempre visto qualcosa di più, un lato nascosto, forse quel lato che chi ci abita spesso non riesce a cogliere, nel trambusto della vita moderna, nella corsa verso la scuola, l'ufficio, il supermercato.

Ma basta uscire di casa un giorno qualsiasi, inforcare la bici, facendo la gincana tra le auto e le numerosissime rotatorie, e un paradiso di luci e colori si dispiega davanti agli occhi. Appena giunti sul lungo lago la vista è meravigliosa: da Intra si vede tutta la costa lombarda del lago Maggiore, i traghetti che, tra le onde, fanno da spola tra Intra e Laveno, e poi l'orizzonte si allunga verso la Svizzera, le montagne gelide si stagliano nel cielo limpido, mentre verso Santa Caterina i pomeriggi d'inverno spesso si forma finissima bruma. Tutto intorno, gli stridi dei gabbiani si fanno più intensi, alla ricerca spasmodica di qualcosa da mettere sotto il becco.

Pedalando verso Pallanza si incontra finalmente la pista ciclabile che costeggia da un lato il lago e dall'altro la Castagnola, il quartiere “in”, dove i facoltosi signori costruirono le loro dimore ottocentesche. Non è un caso che qui si trovino anche i Giardini di Villa Taranto, una delle perle del Maggiore. E a dominare la collinetta della Castagnola e tutta Verbania c'è la punta di diamante di Verbania, un diamante che troppo spesso è stato dimenticato, ma che può tornare a rappresentare il polmone verde della cittadina: Villa San Remigio e il suo parco, adiacente ai giardini di Villa Taranto, è stata il sogno d'amore di Sophie e Silvio della Valle di Casanova, un sogno che ha saputo ricongiungere la cultura umana, la poesia, l'architettura e l'arte del giardino, e la natura, che in questo luogo magico, da cui si può ammirare l'enorme distesa d'acqua del lago dalla Svizzera fino a Ispra e Belgirate, riesce a comunicare con l'osservatore umano. I giardini ideati da Sophie, infatti, sono giardini a tema, e ogni giardino ha ancora oggi la capacità di evocare la mestizia, la letizia o la tranquillità dello scorrere lento delle ore, passate tra le esedre, le fontane e i cespigli di bosso.

giardino della villa: statue, aiuole fiorite e prato ben curato
I giardini di Villa Taranto - foto di Xerones via flickr

Riscendendo a lago sempre in sella alla nostra bici, si giunge fino al grazioso lungo lago di Pallanza, dove un altro scenario si schiude alla vista: Stresa e le isole, i raggi del sole cullati dalle acque calme, cigni e germani che affollano la costa. Poche pedalate e si è a Suna, frazione storica di pescatori e lavandaie, dove ancora sono ancorate le barche in legno senza motore e dove i ragazzi d'estate, come i cigni di Pallanza, si accalcano per un tuffo nel Maggiore. Tra locali alla moda e trattorie tipiche, dove si possono gustare gli gnocchetti ossolani e il pesce del lago, si può proseguire costeggiando il lago.

Purtroppo ci si deve scontrare con la realtà e con la statale del lago Maggiore, ma dopo una decina di minuti si può agilmente raggiungere un'altra oasi di pace: la Riserva di Fondotoce, il baluardo di zona umida, dove il Toce si getta nel lago Maggiore. Si entra nella riserva oltrepassando un piccolo ponte di legno e già fermandosi un attimo sul ponte si può vedere l'acqua incresparsi e una ranocchia saltellare nella fanghiglia. Nonostante abbia superato il ponte molte volte, ogni volta mi assale la stessa stupenda sensazione: si lascia alle spalle la caotica statale e, con essa, tutti i problemi legati al mondo moderno, la corsa folle verso una vita che non sarà mai totalmente libera, e si entra in un mondo incantato, dove tra le fitte betulle, i salici e i canneti, si potrebbero sentire elfi e fate sussurrarci dolci parole all'orecchio, parole come rimani o piano. 

un sentiero che entra nel bosco tra fitta vegetazione di alberi e arbusti
La riserva di Fondotoce - foto di Irene Grassi via flickr

D'estate, riparati dalla coperta verde delle fronde, nella riserva si creano giochi di luci e ombre e si fanno incontri ormai fin troppo rari: le farfalle, dalle livree più disparate, volteggiano gioiose, il brusio delle api è costante, a ricordare al passante che qui c'è qualcuno che lavora duramente, i ragni sembrano vogliano costruire una metropoli tra i rovi di more, cercando di sfuggire ai voli spericolati dei passeri e dei pettirossi. D'inverno è tutto più calmo e limpido. Il sole, quando c'è, filtra senza problemi fino al terreno umido e duro, le api sono in sciopero, qualche uccellino fa capolino tra i rami. A stento riesci a sentire il rumore lontano della vita umana. A stento riesci a sentire te stesso. È tutto fermo, immobile eppure in costante evoluzione. Proseguendo sul sentiero sconnesso si arriva nuovamente al lago: una piccola spiaggia, della sabbia fine e una coppia di germani in gita. Non c'è nessuno, si potrebbe correre il rischio di dimenticarsi il tempo qui. 

Ma devi tornare, sai che non potrai evitare il momento del ritorno. Di nuovo in bici, fuori dalla Riserva, fuori dal sogno, dall'universo fatato in cui solo Puck e Mab avrebbero potuto trattenerti. Si ritorna sulla statale, ma Verbania ha ancora qualcosa da offrire. Infatti, anche le colline e le basse montagne sono un gioiello. Da Suna si può salire, per chi ha le gambe e i polmoni allenati, fino al Monte Rosso, che deve il proprio nome al fuoco di foglie d'autunno che incendia i suoi pendi, una Indian Summer tutta italiana. Salendo per la strada tortuosa le case si fanno più sporadiche, il vento si alza, e lentamente la vista si estende su buona parte dell'amato lago, che riserva allo spettatore attento così tante sfumature diverse da lasciar sempre stupefatti. Si arriva finalmente a Cavandone, il “paese dei narratori”. Qui il tempo sembra di nuovo essersi fermato a 150 anni fa: ancora viottoli, stradine, bambini che corrono dietro a un pallone in piazza, gatti che sonnecchiano e si stiracchiano stropicciati al sole, le vecchie cascine ancora abitate, le case di ringhiera, i panni candidi stesi, il vecchio pozzo. Davvero qui si respira un'aria diversa, un'aria antica, la stessa aria malinconica del Giardino della Mestizia di Villa San Remigio. L'aria di un tempo e uno stile di vita perduto, ma che può essere ritrovato. Con calma e pazienza, tra il ronzare delle api, gli ulivi, quei prodotti locali di cui anche noi andiamo fieri, i piccoli mercatini di paese e le persone che ancora si salutano per strada.

Dicono che Verbania non è né una città né un paese. E forse hanno ragione. Forse questo è il suo valore aggiunto: piste ciclabili, una buona rete di trasporto pubblico, locali e negozi, iniziative vivaci per svegliare una cittadina spesso definita dormiente, ma che tuttavia conserva inalterato il piacere di poter riposare in tranquillità, cullata dal lago, che da sempre è il padrone incontrastato di questo lembo di terra. Proprio il lago sa rendere ogni giorno unico e speciale, mescolando nelle sue acque colori, profumi, animali e piante. È per questo che a Verbania c'è sempre qualcosa da fare, se solo si è disposti ad abbandonare l'orologio, le automobili roboanti e gli agi superflui della vita di città, una vita che in realtà non è mai totalmente nostra, totalmente libera.

Basta però sedersi in spiaggia, sotto un salice slanciato, e guardare quanto la natura ci ha da sempre regalato: i suoi silenzi alati, i suoi assensi di onda, le sue occhiate tra i nembi rosacei, le paludi fertili, in cui tutto ritorna a far parte del tutto, le navi beccute cariche di candidi fiori di piuma, i vecchi olmi, custodi di reconditi segreti, i timidi lavoratori instancabili, che rendono omaggio all'unicità di ogni singolo giorno col loro nettare divino. Forse altri mille luoghi possono offrirci questo, e forse l'importanza non è il dove si va, ma come.

 

Autore: Anastasia Cardone

Premio letterario "Racconta la tua città"

 

Copertina: immagine di Nico Cavallotto via flickr

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