Subito l’impatto è spettacolare. Aggrappato alla roccia, come una sporgenza naturale e maestosa, si erge il Palazzo della Ceramica Solimene, realizzato dall’architetto Paolo Soleri, sullo stesso modello del Guggenheim Museum di New York. L’aria campana che sa di buono, che ha il duplice sapore di dolce e aspro come i limoni che la fanno da padrona, si sposa con quell’atmosfera internazionale che la caratterizza da sempre, perché la bellezza di quella terra appartiene al mondo intero. Alla fine del corso Umberto I, domina la vista, la cupola cinquecentesca della Chiesa di San Giovanni Battista con le sue scandole, le maioliche a forma di pesce di tre colori differenti: azzurro, verde e giallo.
Il biglietto da visita è tuttavia un altro. Immenso, la circonda, la penetra e la innalza. Il mare, con i suoi riverberi e le sue luci, è un complice fedele di umili artigiani che con alacre fervore modellano piccoli gioielli di terracotta. Vietri: la città della ceramica.
La vita quotidiana di questa splendida cittadina, vicino Amalfi, è dipinta su tazzine, “sulle riggiole”, su vasi e bocchette profumate. E’ un’apoteosi di colori. Le decine e decine di botteghe sono una diversa dalle altre, ognuno ha il suo laboratorio, ognuno le sue sfumature, ognuno la sua tradizione.
Si, perché Vietri, è piena di tradizioni. Il suo nome, dal latino Vetus vuol dire antica; fin dal tempo dell’originaria Marcina, era un piccolo borgo marinaro. Dalle carte nautiche era considerata come il punto di riparo dal vento di libeccio. Ricordo mio nonno, conservava ancora un piccolo vascello di argilla, ex voto per gli scampati naufragi.
Rientro, dopo tre mesi nella mia città. Il lavoro mi ha portata lontano.
E’ intatta, identica a come l’avevo lasciata, anzi ancora più bella.
E’ un grappolo di case bianche, dalla tipica struttura cubica, tra cui svettano di tanto in tanto cupolette colorate. Sento le prime voci, ne riconosco il mio stesso accento.
Mi penetra perfino nella carne quella brezza sana dell’acqua di mare.
La strada, stretta fatta di sanpietrini, quei fastidiosi sanpietrini, in cui i sandali alti spesso si incastravano, conduce a Marina, il luogo più amato dai noi ragazzi. Era lì, nella piazzetta, di fronte al bar “che faceva i gelati migliori” che nacquero i primi amori, fatti di ingenui baci e conchiglie colorate.
Ci si incammina, lungo quello che può rappresentare il lungomare, fatto di spiaggia, ombrelloni, e piccoli spazi di ristoro.
C’è la spiaggetta della Crestarella con la torre del Cinquecento, poi Bagnara, Marina D’albori, L’Acqua del Fico, chiamato così per via di un maestoso albero da frutto tra le rocce aspre e dure della costiera, fino ad arrivare ai “Due frati”, i due fratelli, i due scogli simboli di Vietri, i cugini non lontani dei Faraglioni di Capri.
La scia bianca delle navi, le luci abbaglianti dell’ estate, la maestosità di Villa Guariglia, gli spaghetti alle vongole, la delizia a limone. Questa è Vietri, per chi è forestiero.
La signora Giuseppina, che pulisce su uno sgabbellino di paglia fuori dal portone dal grigio intonaco i baccelli dei piselli. Il signor Enzo che intreccia un cestino di vimini, “spuzziulando” un tozzo di pane bagnato coll’acqua di mare. Ugo e “Tatone” che raccolgono i profumati limoni in grosse ceste nere; e ancora Marilena che innaffia le rose nei vasi in piazza Matteotti, o Gina che dà da mangiare ai gatti randagi di Dragonea, e poi la signorina Stella, Gennaro il salumiere e tanti altri….
Vietri è questa, per chi come me, vi è nata. Per tutti coloro che, sono cresciuti, e pur a malincuore si sono allontanati. Noi abbiamo un segreto, il nostro segreto per non dimenticare il paradiso che ci ha generato. E, per noi vietresi, in quanto segreto, così deve restare.
Autore: Rosaria de Rosa
Premio letterario "Racconta la tua città"
Copertina: foto di Roger via Flickr