Una voce di madre spezza le reni alla sera, mentre il cielo di Pomarico ha tolto la solita nebbia; quasi ad agevolare il viaggio del sarto Camillo Calicchio, che prende il braccio di sua figlia Camilla e si prepara al lungo cammino. Perché la famiglia amputata di moglie per la peste appena sfiorita nel cimitero del paesino materano, è composta solo da Calicchio padre e la sua giovane prole; la giovane che già in giovinezza s'è fatta portare il saluto d'un bambino da un usurpatore delle terre pomaricane. Fuggito prima lui, evidentemente. E Antonio. Anche Antonio è pezzettino della famiglia, nonostante l'ufficiale di casa quasi eviti un contatto affettivo col bambino.
Il piccolo, raramente in linea con le avanzate di nonno e mamma, si chiama anche Lucio. Il secondo nome, infatti, lo si trova messo in calce all'Università di Pomarico. Prima che questa fosse sostituita dall'odierno Municipio e uffici anagrafi vari. Il cognome? Ancora Calicchio, certo. Per fortuna non di nuovo Antonio Lucio Camillo Calicchio. Almeno fino a quando a Venezia arriverà un signore a far matrimonio con Camilla, e il bimbo divenuto presto adolescente diventerà finalmente e per sempre Antonio Lucio Vivaldi.
Camillio Calicchio ha fatto il sarto dal 1650 al 1655 nel suo paese natale. Ma i resti della peste si chiamamo miseria. Le famiglie paesane difficilmente possiedono vestiti da rattoppare o la possibilità di farsene cucire. Mentre i signorotti da Pomarico hanno traslocato ben prima che l'epidemia falciasse la gente normale. Dispiaciuti grandemente di non esser riusciti a portar via con loro le piante mediterranee del bosco di Lama Ferrara o le volpi e gli istrici che nella foresta incantata fra un acero e un orniello si son fatti casa e territorio di caccia. Allora Camillo il bosco l'ha potuto conoscere. Ha viaggiato spesso nelle sue viscere a cercare i funghi e addirittura a caccia di cinghiali. Un giorno, pensate, si scontrò con una cappella che i Donnapentola avevano issato nella foresta a forza di pietre di fiume e fatica dei contadini a servizio. E pensate che i Donnapentola avrebbero voluto metterla nei loro carri, se avessero trovato il modo da spiegare ai servi. Il bosco di Lama Ferrara è ancora immenso. Seppur gli incendi ne hanno rovinato parti del corpo. Ma Camillo Calicchio e tanti altri popolani lo sentono dentro, quasi fosse più il bosco il luogo della fede. Invece che la chiesa piazzata nel ventre del borgo.
Una giorno Antonio era riuscito a strappare al nonno il consenso d'accompagnarlo in una visita a Lama Ferrara. Aveva sentito parlare di tassi e volpi, e gli animali scalpitavano nella sua immaginazione. Saltavano, correvano, provocavano frusii fra le piante. Il risultato della fantasia dava ad Antonio Calicchio quasi una musica che nessuno ancora gli aveva fatto sentire. Sorrideva in solitudine, Antonio. Mentre nella sua mente la musica si faceva quotidiana, nelle sue solitudini Antonio trovava una bella compagnia.
Autore: Nunzio Festa
Premio letterario "Racconta la tua città"
Copertina: foto di Basilicata Turistica via flickr