Siamo nella zona Sud del capoluogo piemontese, dove corso Unione Sovietica, un tempo l'antica strada per Stupinigi, conduce a una delle più belle dimore sabaude. "Il magnifico viale che si stende come un ampio nastro tra le fronde degli olmi secolari, guida l'occhio nell'interminabile corsia fino al lontano e bianco sfondo del castello. Quella del viale e del castello di Stupinigi è storia di principesche cavalcate, di soggiorni di re e imperatori, di partite di caccia, di svaghi e di riposi di principi, di romantiche passeggiate di amanti nell'indisturbato silenzio e nell'estasi della natura" (Pietro Abate Daga, Alle porte di Torino, 1926).
Il nostro viaggio parte da via Sarpi, alle spalle di corso Unione. Qui troviamo un grande complesso salesiano in mattoni rossi dal nome altamente simbolico: Agnelli. Nel 1938 la Fiat, accanto ai suoi stabilimenti quasi ultimati, provvede alla costruzione di chiesa, oratorio, teatro, scuole, officine, campi da gioco. Nel '43 si apre la scuola di addestramento professionale per i futuri operai, che negli anni '60 arriva a ospitare più di mille studenti. Mamma Fiat pensa anche ai figli dei dipendenti: le suore di Maria Ausiliatrice danno vita all'oratorio femminile e alle scuole, dal nido alle elementari. Nel mosaico sulla facciata della chiesa (La chiesa di San Giovanni Bosco, inaugurata nel 1941, è opera dell'architetto Giulio Valotti) c'è un particolare curioso: qualcuno intravede Edoardo Agnelli nella figura del Buon Pastore posto in mezzo agli agnellini che brucano nel prato.
Il cinema teatro ospita la stagione di Assemblea Teatro, una delle storiche compagnie torinesi, che con il cartellone "Insolito" e "Domenicamattinateatro" offre a adulti e bambini ottime occasioni di riflessione e divertimento.
Se volete sapere come è cambiato il modo di abitare la città in quasi cent'anni percorrete via Giacomo Dina, e vi apparirà un meraviglioso museo all'aperto che risponderà alle vostre domande. Le villette a due piani che si trovano di fronte all'istituto Agnelli vengono costruite dal 1923, per accogliere le maestranze Fiat. Sono le prime case della zona, oltre alle numerose cascine. Le semplici decorazioni geometriche, i vetri colorati delle scale esterne, i piccoli giardini fioriti che le circondano, conferiscono un aspetto gentile a queste casette, scampate alla selvaggia cementificazione degli anni '60-'70.
Proseguendo lungo via Dina, dopo aver attraversato corso Agnelli, a sinistra s'incontra il complesso di case popolari M2, costruito a partire dal 1926. Il modello scelto è quello di una grande corte chiusa con un contorno di palazzine indipendenti di 3 o 4 piani, abbellite da decorazioni con graffiti a motivi floreali in bicromia. I verdi giardini, che si aprono inaspettati a chi si affaccia sul cortile, fanno pensare a un'oasi naturale nella rumorosa città, ricordando il begijnhof di Amsterdam.
Guardando a destra della via ecco il complesso "Costanzo Ciano" (1939-45), che ci riporta al ventennio fascista. Ritroviamo lo schema a corte di M2, ma ci sono differenze importanti. Spariscono i decori, le facciate sono molto severe: 5 piani, con mattoni a vista e due fasce d'intonaco, in basso e in alto. L'assenza di balconi sulla strada crea un'atmosfera quasi metafisica, che richiama i paesaggi urbani di De Chirico. Il bisogno di case durante la guerra è altissimo così, vista la difficoltà di acquisire nuovi terreni, ci si arrangia riempiendo quel che c'è: un ulteriore edificio spunta in mezzo alla corte occupando gran parte dell'area. Tocchiamo con mano la progressiva decadenza degli spazi comuni nelle case popolari. Compaiono i primi negozi, in una zona che sorge in aperta campagna, ma all'ombra della Fiat, il più grande stabilimento automobilistico d'Europa. Qualcuno ricorda ancora le mucche al pascolo o galline e conigli allevati sui balconi.
Per una sosta ristoratrice consigliamo la "verace" pizzeria Rio, al n. 28 di via Dina, con un'ampia scelta di pizze al padellino e un'ottima farinata.
Proseguendo ecco il complesso Q25, siamo nel 1942 e assistiamo al definitivo abbandono dello schema a corte chiusa. Le distruzioni della guerra e l'inizio della forte immigrazione richiedono un aumento della densità edilizia, per la necessità di nuove case. Quindi sempre 5 piani d'altezza, ma costruzioni più fitte. Due stecche disposte a pettine verranno inserite nel cortile, facciate gialline più dimesse, nessun particolare decorativo.
Poco oltre, a sinistra, il complesso S1 (1947): le case sono parallele, poste di coltello rispetto alla via. Il verde si riduce a qualche albero piantato in mezzo a cortili d'asfalto. Il nostro ecomuseo si chiude simbolicamente con le case che si trovano svoltando a destra in corso Siracusa. Sono le costruzioni degli anni '60 e '70 che caratterizzano gran parte del quartiere. E' il miracolo economico: alla fine degli anni '50 avviene il raddoppio di Mirafiori, dal '51 al '71 la popolazione della zona cresce di 7 volte. Di edilizia privata e convenzionata, per lo più cooperativa, le case sono alte fino a 10 piani, affacciate direttamente sul marciapiede o precedute da un giardinetto o da portici commerciali. Compaiono i garage, sotterranei o nei miseri cortili. La storia dei Comitati spontanei di quartiere racconta quante lotte per ottenere i servizi sociali essenziali ha causato questo modello di città.
Girando a sinistra in via Sanremo si arriva al Palaghiaccio di corso Tazzoli, una struttura di mattoni e vetro costruita per le Olimpiadi del 2006, con una tribuna di 3.000 posti ospita attività amatoriali e campionati di professionisti. Di fronte, lungo corso Tazzoli, a perdita d'occhio, si estende la Fiat Mirafiori. Inaugurata nel 1939, arriva, negli anni '70 a dare lavoro a 50mila persone, una città nella città. Oggi appare isolata nel panorama urbano, silenziosa ed enigmatica del suo futuro. Dove un tempo c'erano tram e biciclette che portavano gli operai al lavoro, poi infiniti parcheggi per auto, ora sorge il Parco Lineare.
Approdiamo alla bella e ampia area pedonale di piazza Bianco, con giardini, panchine e tavoli, giochi per i bambini, un anfiteatro, una fontana, una zona per lo skate board e bei viali. E' il cuore del quartiere, su cui si affaccia una tra le più belle chiese moderne di Torino, Gesù Redentore. Progettata dagli architetti Nicola e Leonardo Mosso nel 1957, imponente nella sua semplice e austera facciata di mattoni protesa verso il cielo, al centro la filiforme scultura bronzea della Trinità. All'interno si ammira la spettacolare volta sfaccettata in cemento armato dove i raggi di luce provenienti dagli abbaini a forma di cristallo piovono sul pavimento di marmo nero.
Proseguendo verso Grugliasco troviamo, in via Rubino 45, la cascina Roccafranca, nata sulle ceneri di un diroccato casale seicentesco, grazie al progetto Urban 2, ora innovativo centro culturale e aggregativo, con un bel cortile molto animato d'estate, una caffetteria, un baby parking, corsi, laboratori, un ecomuseo urbano e Botteghe tematiche sul consumo critico, sulla donna e sul benessere. D'obbligo una sosta alla Piola dell'incontro, dove si mangia bene a prezzi popolari sotto un maestoso gelso.
Di fronte alla cascina sorge la barocca cappella Anselmetti, ridisegnata all'interno dall'artista Massimo Bartolini e sede di laboratori per le scuole. Poco più in là, in corso Tazzoli, si trova un'altra opera nata dal progetto Nuovi Committenti e creata dall'artista parigina Lucy Orta dal nome "Totipotent architecture": è una scultura formata da sinuosi tubolari d'acciaio, che richiama la cellula totipotente, la staminale, l'unità dal potenziale illimitato che presiede alla costruzione dell'organismo.
Questo viaggio ci dice che ogni luogo è magico, se visto con occhi curiosi e capaci di stupore.
Autore: Laura Maria Zanlungo
Premio letterario Racconta la tua città
Copertina: foto di photolupi via flickr