Per ciascuno di noi esiste un luogo, un’azione, un ricordo che ci fa dire Anìfti, cardìamu.
La mia terra è generosa e molte volte mi ha fatto aprire il cuore di felicità e soddisfazione. Dal mare alla montagna innumerevoli sono i luoghi che incantano e incatenano. I paesaggi hanno un’anima e la raccontano a chi ha la pazienza e il desiderio di ascoltarla. Hanno bisogno di silenzio i paesaggi, per sussurrare i segreti del tempo.
E anche se cambiano, i paesaggi mantengono una memoria di ferro: la memoria del cambiamento, del passato, del presente e del futuro. C’è un luogo che mi fa dire anìfti, cardìamu.
Ogni volta che ne sento nostalgia percorro a piedi un lungo tratto di spiaggia. I miei piedi soffocano i sassolini che a ogni passo si spostano poco lontano, per aprire un varco alla mia fretta.
Il pellegrinaggio laico che compio mi conduce al groviglio selvaggio che è la spiaggia di Capo di San Giovanni D’Avalos a Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria. Pochi conoscono questo nome importante dedicato a un santo. Ma tutti sanno cosa sia la Rocca del Capo, il paradiso incompreso e maltrattato, la spiaggia con la grotta e gli scogli superstiti e il fallimento di un tronco di molo che non è riuscito a rovinare il fascino naturale del miracolo.
Anìfti, cardìamu. Apriti, cuore mio.
La roccia che minaccia il mare impedisce al sole di scaldare le cose se non dopo una certa ora.
Per questo motivo la spiaggia di Capo San Giovanni è fresca e silenziosa, interrotta dal singhiozzo dei rari treni che invidiano alla sabbia la vicinanza del mare.
In questo luogo, un tempo, tanti faraglioni affioravano dallo Jonio, piccoli vulcani che accoglievano i tuffi di primavera dei bambini di ieri.
Anche io mi tuffo e nuoto con voluttà, nell’acqua tiepida dalle sfumature che mi confondono nel giorno appena nato. Nuoto verso la Montagna che fuma, dall’altra parte del mare. Fuma rimproveri la montagna, agli uomini diventati ogni giorno più ciechi e più sordi.
Nuoto nell’acqua che cambia colore e sapore, nella tenerezza del giorno appena nato.
Anìfti, cardìamu. Apriti, cuore mio.
E mi concedo una pausa fra le onde ancora addormentate, orfane dei cavalloni di settembre, onde bambine che mi ospitano generose nella seta liquida di sale.
Salgono i miei occhi, percorrono, spuntone dopo spuntone, la Rocca del Capo.
Si fermano sulla chiesetta vuota di preghiere, ammirano la torre di avvistamento posta a guardia dei predoni del mare, si inchinano alla Vergine che benedice e protegge questo borgo di pescatori in riposo forzato.
E’ in questo punto che ripeto, come un mantra, anìfti, cardìamu. Apriti, cuore mio. Apriti al mondo, alla memoria del tempo, alle storie della lingua del mare e dei monti. Apriti a chi ama la bellezza e ogni anno trascorre almeno un giorno a Capo San Giovanni, dall’alba al tramonto che sfuma dietro il vulcano assopito.
Da questo punto, nella coscienza liquida delle verità, conto sulle dita di una mano i faraglioni superstiti alla guerra dello sviluppo. Abbattuti per lasciare spazio a un porto che non ha ancora visto la luce. Di quel tempo non ricordo nulla. Solo un sogno che emerge sbiadito dalle foto che gli abitanti del paradiso incompreso custodiscono con gelosa cura e silenziosa vergogna.
L’ecomostro ha sostituito la bellezza. Il miraggio dello sviluppo ha seminato il deserto. Capisco la Montagna che fuma che borbotta rimproveri, improperi e maledizioni. Gli uomini si sono condannati alla mostruosità, senza ottenere nulla in cambio. Hanno lasciato agire indisturbati i mercanti, nel tempio del dono e del miracolo.
Non riesco a immaginare un luogo più bello e più sfortunato di questo.
Perciò mi avvicino con dolore e tenerezza e benedico ogni granello di questa sabbia, calpestata con la rabbia dell’ingratitudine. E racconto la tua storia a chi viene da lontano e rimane incantato da tanta bellezza.
Ma i miracoli si compiono ancora su questo paradiso incompreso ma non ancora distrutto.
Sul velluto tiepido della spiaggia le tartarughe marine depongono la vita, sfidando l’ecomostro e lasciando alla cura dei giusti la schiusa dei piccoli.
E spero che il primo pensiero delle tartarughine impacciate dai granelli di sabbia, nella prima maratona verso il mare, sia proprio anìfti, cardìamu. Apriti cuore mio. Alla bellezza.
Autore: Maria Natalia Iiriti
Premio letterario "Racconta la tua città"
Copertina: foto di Murillo Cardoso via flickr