Bisogna che mi decida finalmente a scrivere qualcosa sulla terra dove sono nato. Ne ho la voglia da parecchie centinaia d’anni ma non riuscivo mai a partire. Perché si dà questo curiosissimo caso: se qualsiasi italiano di qualsiasi regione proclama che la sua terra è stupenda e che ci sono meravigliosi monumenti e meravigliosi paesaggi e così via, nessuno trova niente da dire. Ma se io dico che la mia terra è uno dei posti più belli non già dell’Italia ma dell’intero globo terracqueo, tutti cascano dalle nuvole e mi fissano con divertita curiosità. La mia patria infatti si chiama Belluno e benché sia capoluogo di provincia, vado constatando da decenni che quasi nessuno tranne i bellunesi, sappia dove sia (e molti anzi ne ignorano perfino l’esistenza). (Dino Buzzati, La mia Belluno)
E’ difficile scrivere del luogo in cui si è nati, quello che conosciamo come le nostre tasche ma che spesso ci dimentichiamo di raccontare.
Mi ha colpito questo pezzo di Dino Buzzati perchè coglie lo spirito del Premio letterario “Racconta la tua città”, quello di far conoscere un angolo d’Italia meraviglioso, di cui tante persone spesso ignorano l’esistenza.
Per ispirare chi desidera cimentarsi nel racconto della propria città (per vincere due weekend ecofriendly sulle Alpi o nelle 5 terre) abbiamo scelto altri 4 brevi pezzi. I primi 2, di Jorge Amado e di Luigi Alfieri, ci raccontano le loro città attraverso i suoni, i profumi e i colori. Sono così reali che ci sembra quasi di toccarle. Il terzo, di Raffaele Rinarldi, ci racconta Napoli anche attraverso i suoni della lingua parlata, i dialetti e i pensieri radicati nel luogo. L’ultimo di Italo Calvino lo abbiamo scelto per la sua visione di città come organismo fragile che per sopravvivere deve porsi in armonia con l’ambiente di cui è parte. La sostenibilità ambientale è uno dei temi forti del premio, che vuole promuovere un’idea di viaggio come scoperta lenta, a piedi o in bicicletta, in barca a vela o a cavallo, di angoli d’Italia meno noti, ma incredibilmente affascinanti ed autentici.
La sirena della nave squarciò come un lamento il crepuscolo che avvolgeva la città. Il capitano Joáo Magalháes s’appoggiò alla murata e rimase a guardare il caseggiato d’antica costruzione, i campanili delle chiese, i tetti neri, le vie lastricate d’enormi pietre. Il suo sguardo abbracciava una gran varietà di tetti, ma della via non scorgeva che un tratto breve, dove non passava nessuno. Senza saperne il perché, quelle pietre, con cui mani di schiavi avevan lastricato la via, gli parvero d’una commovente bellezza. E tali gli parvero anche i tetti neri e le campane delle chiese che cominciavano a sonare chiamando all’ufficio del vespro la città credente. Di nuovo la sirena fischiò, lacerando il crepuscolo che ricopriva la città di Bahia. Joáo tese le braccia in un gesto d’addio, simile a quello di chi prende commiato dalla donna che ama.
(Jorge Amado, Terre del finimondo)
Parma color malva. Quando si parla di ricordi si comincia da Proust, Marcel Proust. L’uomo che ricerca il tempo perduto. E’ lui che ha scritto «il nome di Parma, una delle città dove più desideravo andare dopo che avevo letto la Certosa, m’appariva compatto, liscio, dolce e color malva; se mi parlavano d’una qualunque casa di Parma dove sarei stato accolto, mi davano il godimento di pensare che avrei abitato una dimora liscia, compatta dolce e color malva senz’alcun rapporto con le dimore d’ogni altra città d’Italia, perché la immaginavo soltanto in virtù di quella sillaba pesante di nome Parma, dove non circola brezza alcuna, e di tutto quel che le avevo fatto assorbire di dolcezza Stendhaliana e del riflesso di violette…». La Parma che andiamo cercando in questo libro, però, è senza colore, è in bianco e nero, come i sogni. Bianco e nero perché, guardando le foto, ognuno dà loro le tinte che vuole. Per noi Parma è una città virata mattone, con macchie azzurrine di muffa, e scrostature grigiastre, cieli azzurri spazzati dal vento di ottobre, i verdi trasparenti del suo torrente, il profumo dei tigli che, in maggio, invade piazze e giardini. (Luigi Alfieri)
Ih quant ”è bella Napule pare ‘nu franfellicco, ognuno vene allicca, arronza e se ne và!” … “Quanto è bella Napoli sembra un bastoncino di zucchero caramellato, ed ognuno che viene, lecca, arraffa e poi se ne va!” Quelli che credono di sapere tutto di questa città e che “te contano fatt’ e fattariell’”; aneddoti che ritengono “sfiziosi” la fanno assomigliare ad un laboratorio di sociologia. E’ una città come le altre, un luogo come altri. Da noi: schiara juorno, vene sera, pò vene ‘o rimmane. Da noi tutt’ è mmare, è luce, core, tutt’ è ‘overo. Parlarne? Aehh! Un’impresa! Come, quanno arape na senga ‘e na fenesta e trase na lenza ‘e sole, e vuoi contare i grani di polvere che si muovono avvolti dal cielo e dal mare in cui si specchia il Vesuvio, ‘a muntagna terribbile, con il suo carico sotterraneo di distruzione …
Questa città di lava e mare è un ventre pulsante, c’è sempre qualcosa che vive, c’è sempre un rumore di fondo. Napoli è il crocevia del mito e del sovrannaturale, addò ‘a Mort’, che ha segnato storie e leggende, s’ammesca c‘a Vita, e diventano terra fertile per un’ironia amara. (Raffaele Rinaldi)
Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città – ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno.Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge. (Ottavia, Le Città Invisibili, Calvino)
Quale è il vostro racconto preferito? Ma sopratutto come raccontereste la vostra città?
Vi ricordiamo che c’è tempo fino al 31 ottobre 2014 per partecipare al Premio Letterario “Racconta la tua città” per svelare l’Italia meno nota e più autentica attraverso il punto di vista unico di chi la abita.
Info: tutti i dettagli per partecipare al premio Letterario su www.raccontalatuacitta.it
Foto di copertina: sullen_snowflakes, via flickr