Per il primo appuntamento hanno scelto u’ Castidd, quel Castello Svevo che, maestoso ed angolare, si erge tra Bari Vecchia e il porto, corrente di popoli e culture.

Poco più in là, sotto il portico della rinomata via delle orecchiette, detta anche Iarch Vasc (arco basso), alcune donne iniziano a preparare i loro utensili per impastare strascinate, orecchiette appunto, e minuicchi (cavatelli) alla mercé di turisti e passanti. Ognuna allestisce il suo banchetto sul pianerottolo di casa. Mette fuori prima una sediolina in vimini e legno; poi l’altra; un paio di sgabelli su cui poggiare la spassarol, la rete per far asciugare la pasta; il tavolino con u’ tauirr, tavoliere per lavorare la massa; l’acqua; la semola e il coltello dalla lama buona per dare la giusta curvatura e striatura all’orecchietta.

una via di bari con due signore sedute davanti a casa. su un banchetto vendono pasta fresca ai passanti
La strada delle orecchiette - foto di Emiliano via Flickr

Sullo sfondo, le campane della vicina Cattedrale invitano alla messa domenicale; mentre qualche stradina più giù, nella Basilica, S.Nicola accoglie cristiani, atei, e fedeli altrui. Con in mano due vite del tutto diverse, Chirine e Zino aspettano Carlo e Micaela sul muretto che si affaccia nel fossato del Castello. Della città e di quello che avranno in comune con i baresi non sanno ancor nulla.

L’aria che iniziano a respirare è la stessa della loro casbah di Algeri; sa di Mediterraneo. La brezza marina sfiora questi passi curiosi e stranieri sulle chianche di piazza Mercantile, fintanto che Carlo e Micaela traducono dal vernacolo ai loro amici i dialoghi così singolari delle commari al balcone.

Tra vicoli ciechi e viuzze, è proprio il profumo di pulito e gli odori forti di svariate pietanze caserecce, come il calzone di cipolla, che indica loro l’itinerario gastronomico, artistico e culturale più sostenibile da seguire. Sotto gli archi, con le iconografie di Madonne e Santi ornati da processione, è un susseguirsi di volti, sguardi, e schiamazzi di bambini.

Da lontano, le urla dei pescatori di N-derr la lanze, la zona del vecchio porto, regalano sorrisi ai turisti e pesce crudo agli affezionati. Poi accompagnano il ciclista di turno che svolta a destra per proseguire sul lungomare che giunge sino a Palese. Qui, alle spalle dell’aeroporto, sulla strada che porta a Bitonto, con i miei ex compagni di scuola elementare scegliamo di incontrarci, dopo trent’anni, nei paesaggi bucolici che durante l’infanzia ci sono appartenuti in una geografia che non è più la stessa.

E’ ben altra di quella che i nostri occhi oggi vivono. Per non sentirci già troppo adulti, ma ancora bambini, vogliamo rincorrere i ricordi lungo l’antico fiume Tiflis. Ormai prosciugato, si ricompone solo nella magia delle abbondanti piogge stagionali.

Siamo nel cuore del Parco Regionale di Lama Balice, quello che, da piccoli, chiamavano semplicemente Serre, così come ci avevano insegnato i nostri genitori e gli zii amanti della campagna; perché la bellezza di Lama Balice non era ancora stata protetta dalla legge. “All’epoca avevamo una grande ricchezza e non lo sapevamo”, sussurra qualcuno dei miei ex compagni di scuola.

Il parco di Lama Balice ha un fascino selvaggiamente raro. Ci cattura. Sempre più bisognoso di essere protetto dall’abusivismo edilizio dei dintorni, dai rombi degli aerei che atterrano vicino, e dalla non curanza di passanti che dissipano rifiuti come fosse discarica, custodisce in segreto una biodiversità come pochi. Sosta obbligata per passaggi brevi o prolungati di un’avifauna mozzafiato, nel parco di Lama Balice, averle, falchi pellegrini, voltapietre, corrieri grossi provenienti dalla tundra artica, e aironi cenerini sono di casa.

Orizzonti irregolari si alternano alla vista: canneti, olivastri, carrubi, e un infinito mosaico olfattivo – cromatico di piante aromatiche e medicinali. Forte è l’essenza della menta, così come del timo, della malva o della ruta, mentre tra i tanti colori spiccano l’arancio della calendula, i fiori gialli del trifoglio, e le margheritine della camomilla. Quasi fossero tanti piccoli soli illuminano i campi incorniciati come dipinti nelle perfette linee e sfumature dei muretti a secco a ridosso del grande ponte.

Un tempo questo era la strada principale che da Palese conduceva alla vicina cittadina di Modugno. Ci incamminiamo chiaccherando tra rigogliosi lecci, querce spinose, biancospini, corbezzoli, e sullo sfondo intravvediamo i casali medievali e le masserie, come la bianca e solitaria Villa Framarino, oggi centro di documentazione e ricerca. Poi, sulle rupi e nelle valli più scoscese, dove dominano il fico d’India, il cappero e gli asparagi selvatici, improvvisamente, ci nutriamo di silenzio.

Il sentiero, costeggiato da cespugli di more, vegetazione varie e cannucce di palude, chiara testimonianza di accumuli di acque sotterranee, ci porta nella Jurassic barese. Ci piace chiamarla così perché, al centro di una cava ormai dismessa, ci sono i resti di una spinata di marea fossilizzata del periodo Cretaceo dove, di recente, sono state rinvenute un’infinità di impronte di dinosauri sia di specie carnivora che erbivora.

Lo strapiombo della cava e le striature della roccia fanno da confine tra il cielo e questa terra, la cui natura carsica ha modellato ipogei, cavità naturali, e grotte di varie grandezze che ci fanno viaggiare sino al Paleolitico. Terminiamo il tour con una sosta alla Chiesetta romanica dell’Annunziata, lì dove, ogni domenica dopo Pasqua, come tutti i palesini, bitontini e modugnesi, facevamo la scampagnata con le nostre famiglie.

Il cielo di Lama Balice è gran fonte di ispirazione per tutti quelli che, come noi vecchi amici, hanno ancora un pozzo di ricordi da esplorare e qualche sogno ever green per il quale varrebbe la pena spiccare il volo. Così seguiamo, ancora silenziosi, i volteggi di una poiana e ce ne facciamo una ragione. Poi qualcuno si ferma davanti a un cardo mariano; ne togli abilmente le spine e ne gusta appieno il sapore. E’ lo stesso del tempo in cui, da piccoli, qualcun altro lo faceva per noi.

 

Autore: Silvia Rizzello

Premio letterario "Racconta la tua città"

 

Copertina: foto di Giorgio Altieri via Flickr

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