Gli abitanti, in amicizia, la chiamano la Bagna. Forse perchè è tutta sinuosa con quell'intricato giro di vie e viuzze che c'è da perdersi dentro, forse per quell'aria da contessa decaduta o forse perchè c'è un periodo dell'anno in cui ogni anfratto si trasforma in osteria.

Bagnacavallo dunque.

E' una lunga storia quella del nome, ma riassumiamola così: di qui ci passa Tiberio, non Tiberio come per dire Tizio e Caio, Tiberio lui, l'imperatore. Pare però che pur essendo romanorum imperator, il Tiberio fosse costretto a girare in lungo e in largo per le strade di casa sua (l'impero) in sella ad un ronzino acciaccato e zoppicante. Finchè non passa da qua. Qua c'erano paludi e zanzare, zanzare e paludi, ma la leggenda vuole che queste acque (e non le zanzare, quelle mai), fossero miracolose. Così miracolose, che il cavallo dell'imperatore passandoci al trotto, ne uscì con l'energia di un giovane stallone. Così dice la leggenda, ed i bagnacavallesi, che pur non abitando la ville lumière, ma solo una piccola abat-jour, un po' di grandeur ce l'hanno nel sangue, si sono messi il fumetto del cavallo nel motto dello stemma: ingredior rhoebus, cyllaros egredior: sono entrato malato e sono uscito sano. Così, giusto per chiarire da dove si proviene.

Bagnacavallo dunque.

Che chi ci viene per la prima volta, si perde. Il sommo avrebbe detto "lasciate la macchina fuori dal centro o voi che entrate", che sennò addio specchietto retrovisore. Ma non è per dire, perchè il Dante nazionale, parla davvero della Bagna nella Commedia. "Ben fa Bagnacaval che non rifiglia", dice nel Purgatorio, facendo una lieve allusione ai numerosi conti e signorotti e nobili che per moltissimo tempo si contesero la città. E se a onor del vero ci sarebbe piaciuto più essere citati nel divertissement infernale piuttosto che nella lagna purgatoriale, non è che capita a tutti di guarire il cavallo di un imperatore e di essere menzionati dal Dantissimo.

Bagnacavallo dunque.

Un imperatore, il Dante e pure il dandy dei dandy, lui, il fighetto ante litteram, lord Byron che da Bagnacavallo passava per lasciare la figlioletta Allegra, mentre si dirigeva in quel di Ravenna per andare a spassarsela con la bella Teresa Guiccioli. La piccola di casa Byron venne infatti affidata alle cure amorevoli delle cappuccine di San Giovanni, ma solo perchè il convento era tra i più noti della Romagna. Ma se avesse voluto, il Byron avrebbe avuto solo l'imbarazzo della scelta. Avrebbe infatti potuto lasciare la figliuola dalle cappuccine, ma a quelle di San Girolamo, dai francescani, dai Battuti neri o da quelli bianchi, all'ospizio delle fanciulle pericolanti, dalle nobili clarisse, dai girolimini o dai più mesti cappuccini, perchè tanti a Bagnacavallo erano gli ordini religiosi. Ed ognuno aveva il suo convento, il suo chiostro, il suo orto, la sua chiesa. E ancora quasi tutto è intatto com'era. Chiostri, chiese, conventi che a passeggiare oggi a uno gli viene da chiedersi: ma quanto erano devoti sti bagnacavallesi????

Bagnacavallo dunque.

Dove venne anche il Gassman. A recitare la Divina di cui sopra. Ci chiediamo noi: poteva il Gasmman avere altri posti ove recarsi per declamare le cantiche dantesche? Crediamo di si, ma il Gassman venne alla Bagna. A Piazza Nuova, per l'esattezza, che nuova non è perchè è della fine del Settecento. Questa piazza venne costruita per i macellai e i pescivendoli ed evitare così che il fetore delle carni pecorine contaminasse la piazza vecchia, che era quella destinata alle processioni, alle manifestazioni, alle corse dei cavalli e ai festeggiamenti, insomma la "piazza della domenica". Ma la nuova venne fatta così bella, che oggi, la sera, quando ti siedi in osteria e bevi un bicchiere di vino, e davanti hai l'ellisse, i portici ed un tetto di tegole antiche che ti separano dal cielo, ti sembra di essere in vacanza. Anche se è lunedì ed abiti a quattro passi dalla piazza. Per questo venne il Gassman, perchè la Piazza Nuova, che nuova non è, è bellissima.

Bagnacavallo dunque.

E l'imperatore e Dante e Vittorio e l'aforistico Leo Longanesi e l'eclettico Thomaso Garzoni e il raffaellesco Bartolomeo Ramenghi, che qui, a Bagnacavallo, ci sono nati. Se non sapete chi è il Garzoni, sappiate che è il secondo dopo Erasmo, e se non sapete chi è Bartolomeo Ramenghi, sappiate che è il secondo di Raffaello, e se non sapete chi è Leo Longanesi, beh, questo no, questo dovete saperlo. E a Bagnacavallo, dove Leo è nato, esiste un giardino, chiamato "dei semplici" non perchè frequentato da persone meste e senza pretese, ma per via qui che vi si coltivano le erbette officinali o quelle che servono tutti i giorni: la salvia per i tortelli, il basilico per il sugo, l'erba cipollina per gli strozzapreti. E se le erbe le hai, puoi andare al giardino dei semplici (e ci puoi andare anche se sei una persona complicata), e sederti su una delle panchine che costeggiano il giardino. Non sono panchine qualsiasi, sono le panchine di Leo. Su ogni schienale c'è scolpito un aforisma di Longanesi, così che vai, leggi l'aforisma, ci rifletti sopra e magari ti vien fame e raccogli un po' di prezzemolo per il battuto.

Bagnacavallo dunque.

E si potrebbe andare avanti e raccontare dei sotterranei che attraversano la città, di un convento francescano che ti appare innanzi con tutta la maestosità dei suoi ottocento anni, di un cinema all'aperto - che oggi chi non ce l'ha - ma che qui c'era già trenta anni fa, di un teatro chiamato "la piccola scala", di una pasticceria chiusa da tempo, ma ancora arredata come l'ultimo giorno, di un balcone da cui si affacciò Pio IX o di quando Sofia Loren e Alberto Sordi girarono per le vie del centro, ma vorrei finire in dolcezza. A settembre, quando si festeggia San Michele, santo guerriero protettore della città, ogni forno, bar o pasticceria, vende "la torta di San Michele", un dolce che non lo mangi da nessun'altra parte e neanche qui durante il resto dell'anno. Un dolce la cui ricetta è segreta più di quella della coca cola, che si vende al costo di una pepita d'oro, che solo a guardarlo si assumono le calorie pari al fabbisogno giornaliero di un minatore, ma che è, semplicemente, buonissimo. E le famiglie fanno la scorta e i parenti lontani chiedono di spedirglielo per posta e quando vai per comprarlo e vedi il cartello "il dolce di San Michele è finito", sai che è finita anche la festa, che è finita l'estate e che inzia allora, solo allora, l'autunno. Quello vero.

Questa, un po', è la Bagna.

N.d.R. Le esigenze narrative mi hanno portato a sovrapporre alcuni secoli e vicende, ad essere approssimativa e un po' superficiale, ma tutto quello che ho scritto è verità, la verità delle fonti e della storia orale e se non ci credete, venite di persona a verificarlo. A Bagnacavallo ovviamente.

 

Autore: Patrizia Carroli

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