La Natura impazza: il caldo rovente di questo periodo sta portando ad un’elevata siccità, alternata a forti temporali che devastano i nostri territori sempre più martoriati. E’ un continuo stato d’allerta. Tra il divampare di roghi, la scarsità d’acqua, le alluvioni o gli smottamenti, la nostra preziosa Terra è sempre più danneggiata, grazie anche alle incuranze dell’uomo che impunemente la abita. Parlando di emergenze, vi ricordate i tempi in cui si citava sempre il buco dell’ozono? Per anni è stato uno spauracchio dell’umanità, poi con il tempo il caso si è ridotto, seguito da una fase in cui quasi si pensava fosse stato ingigantito, se non addirittura inventato, dagli ecologisti. Ma non è esattamente così e il problema è tornato. Facciamo un passo indietro.
Erano gli inizi degli anni ’80 quando un gruppo di scienziati britannici scoprì che lo strato molecolare di gas, chiamato ozono, che ricopriva il nostro Globo sopra l’Antartide, e che per miliardi di anni lo aveva protetto dai raggi ultravioletti del Sole, aveva un buco. Con lo strato protettivo lacerato, passavano nell’atmosfera terrestre i famigerati e dannosi raggi solari UV.
Sempre in quegli anni notarono che le maggiori cause imputabili all’assottigliamento dello strato di ozono stratosferico erano da attribuire alle molecole contenenti cloro sintetizzate dall’uomo, come i clorofluorocarburi, più noti come CFC. Ci fu un grande scalpore e il Mondo conobbe questo nuovo fenomeno. Si cercò quindi di correre ai ripari, e nel 1987 le Nazioni Unite vararono un protocollo, cosidetto di Montreal, che regolamentava l’emissione di sostanze nocive per l’ozono. 192 paesi mondiali promisero di bandire dalla loro produzione i CFC. La situazione sembrava migliorata, tanto che con il tempo il tema del buco dell’ozono, lentamente, scivolò nel dimenticatoio.
In realtà, però, non avevano preso in considerazione che esistono altri gas che vengono immessi nell’atmosfera e che minacciano l’ozono. Ad esempio gli Hcfc, i sostituti dei CFC, che però vennero riconosciuti e banditi nel 2015. Ora il problema si ripropone con il diclorometano, noto come cloruro di metilene, che è un gas incolore con la struttura simile al metano che viene largamente utilizzato nelle industrie per vari scopi.
Alcune stime prevedono la chiusura del buco dell’ozono non prima del 2065. Ma i dati attuali non lasciano buone prospettive: se si continuasse ad avere nell’atmosfera questi agenti dannosi, con il ritmo fino ad ora osservato, il recupero del buco sull’Antartide sarebbe in ritardo di 30 anni rispetto ai 5 (sempre di ritardo) che avevano stimato.
La mancanza di questo scudo protettivo contro le radiazioni ultraviolette fa aumentare notevolmente il rischio di contrarre il cancro alla pelle, cataratte e la sopressione del sistema immunitario, che significa maggiori malattie perché le difese antibatteriche sarebbero basse.
Nell’ambiente, invece, verrebbero stravolte la flora e la fauna, in quanto i raggi UV colpiscono gli strati superficiali della pelle. Gli organismi pluricellulari sarebbero più protetti rispetto a quelli unicellulari, che nella loro specie marina morirebbero tutti, dissestando l’intera catena alimentare.
Quindi attenzione, anche se la riduzione può essere progressiva è un dovere di tutti salvaguardare il nostro ambiente ed aiutare l’Antartide terrestre a rimarginarsi al meglio.