Cipro è una zattera d’approdo privilegiato nel cuore del Mediterraneo, sin dai tempi remoti in cui sorse dalle sue acque fertili, assieme ad Afrodite. Da millenni crocevia di vite diverse che si incontrano e s’intrecciano per lasciar cicatrici più sui libri di storia che sulla sua faccia placida, oggi sembra attendere, in secca, che qualcuno da lontano torni ad accorgersi di lei.
Appena esci dall’ambiente asettico e controllato dell’aereo, quello che ti accoglie qui è il calore immobile e secco dell’aria notturna, che ti accarezza dolce e sempre uguale a sé stessa. Ad attraversarla, correndo sulle autostrade costiere che uniscono le sue città principali, da subito è l’aspetto brullo e aspro che colpisce. Paesaggio quasi lunare di chi ha avuto a che fare col sole torrido giorno dopo giorno, da sempre. Dove gli sparuti arbusti sparsi a macchia e senza alcun ordine non lasciano traccia nemmeno dall’alto dei satelliti.
Se lo volesse, con tutto questo sole Cipro potrebbe farci di tutto. Il sole, energia allo stato puro, problema solo per chi non lo vede come risorsa preziosa. Eppur non sembra comprendere appieno il potere che si ritrova tra le mani. Dal sole ci si protegge piuttosto: con le spesse pareti di pietra delle case dei centri storici, con le finestre alte protette dalle persiane e con i ventilatori sempre accesi. Ci si scalda l’acqua certo, ma non che se ne senta un gran bisogno in questa afa. E pensare che si potrebbe illuminare la notte, muovere i mille ventilatori che rendono l’aria sopportabile anche di giorno, o addirittura alimentare le macchine che corrono lungo le contate arterie di comunicazione rapida dell’isola. Eppure su ogni tetto spopolano le cisterne dell’acqua calda solare, ma di fotovoltaico per nemmeno l’ombra. Scelte parziali forse dettate dai governi del passato, forse dovute a commerci che latitano, forse motivate da quello che l’isola offre e da quello che no. Peccato in ogni caso, se ne riparlerà tra qualche anno suppongo.
Del resto da sempre è l’acqua a dar forma al paesaggio umano qui, ancora prima che il sole. Se oggi sono le cisterne sui tetti delle case, ieri erano le vallate dei fiumi. Da li emergevano i campi coltivati a grano, vite ed ulivo da cui sorgevano i villaggi e poi i castelli, arroccati sulla costa in difesa dalle barche predatrici venute da lontano in vena di razzie. Una vita costretta in difesa, tra gli uomini che arrivano dal mare e il caldo che arriva dal cielo. Aggrappati stretti a quell’incontro quotidiano tra Poseidone e Demetra, la fertilità dell’acqua che abbraccia la terra. Oggi, la tecnologia delle dighe ha aperto la strada perfino a qualche campo da golf, quasi in spregio all’antica parsimonia con cui l’oro blu doveva venir gestito proprio in queste stesse valli.
Oggi Cipro sembra attendere in sospeso, come a ondeggiare sull’alito di vento caldo del primo meriggio, quello pigro e indolente. Ma più per convenzione altrui che per voglia propria. Coi Greci e i Turchi che si guardano sospettosi da dietro un muro disegnato da poco, di quelli che in passato avrebbero fatto ridere chi viveva la giornata gomito a gomito. Diversi? Magari si. Ma uomini degli stessi paraggi, dopotutto. In attesa aspettano anche le imprese costruttrici, sospese nella corsa ad accaparrarsi le fette di terra che avvolgono l’autostrada per realizzare le case da sogno occidentale ai propri clienti Russi, Cinesi o futuri ricchi locali. Chissà. Si rincorre anche qui un modello che sembrava promettere benessere, ma che tutto ad un tratto sembra essersi incagliato in meccanismi decisi lontano da qui, sulla terraferma. Meccanismi da cui questa gente isolana si ritrova lontana, ma che ha scelto di abbracciare come tutti, come una chimera. E allora fermi, ad aspettare in attesa. Arriveranno tempi migliori, se così vi pare.
Nel frattempo ecco i cartelloni pubblicitari dei master in business administration, finanza e ingegneria petrolifera a reclutare lungo la strada. Spazi pubblici destinati non a vendere consumo, ma ad attrarre nuove leve locali o straniere a popolare quest’isola di cervelli che la sappiano traghettare verso il futuro globalizzato. Un futuro industriale e commerciale. Un futuro di cui si è tanto sentito parlare che si vorrebbe vedere com’è per davvero.
E le nuove leve – come dappertutto – abbracciano la scommessa con entusiasmo, felici di un futuro che si promette loro radioso. Ballano e scorrazzano di notte per i mille locali alla moda di una Cipro godereccia e profana. Che mangia, beve e balla come se non ci fosse un domani. E si gode questa vita in sospeso su un alito di vento calido e secco.
Il futuro deve ancora arrivare, ma si promette luminoso. Come il riflesso del sole cocente sull’acqua di questo mare nostrum da cui inizia e finisce il mondo di qui.
Foto di copertina: Agioi Anargiroi, Protaras, Cipro, foto di Lefteris Katsouromallis via flickr