Cesare è il tipico imprenditore Veneto: se tu vedi un problema, lui vede un ‘opportunità, se tu ti imbatti in un ostacolo, ti irriti, cerchi di abbatterlo, ci perdi tempo, lui lo osserva e trova la strada alternativa.
Anni fa ha acquistato una proprietà in Valdobbiadene, terra di prosecco illustre (quando è stato eletto per la prima volta Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha brindato a prosecco di Valdobbiadene, ndr): un colle coperto da vigne di Cartizze e Glera con, accidentalmente, un’antica cascinetta diroccata. Niente acqua corrente, niente elettricità, buona giusto per metterci gli arnesi. Certo la vista era e è tuttora magnifica: distese di tralci di vigne, verdi smeraldo in primavera, verde tendente al giallo in estate e un’esplosione di gialli, oro, bronzo e rossi in autunno, ma null’altro se non un punto d’appoggio per qualche barbecue con amici e famiglia nei pomeriggi di domenica.
Eppure, il posto piaceva: che fosse per la vista, per essere un po’ remoto, per via del fascino del mood shabby, anche se dieci anni fa nessun parlava di shabby, ma tutt’al più di “rovina tra le vigne”, Cesare trovava spesso messaggi degli amici che passavano e si burlavano della sua presunta “tirchieria”: “Siam passati, non c’è mai nulla da bere qui”.
E così, messaggio dopo messaggio, allusione dopo allusione, Cesare inizia a lasciare una bottiglia, qualche bicchiere di carta e un messaggio “Bevete alla mia salute! € 5”
Il giochetto piace, la voce si diffonde.
Cesare ci sta e al vino aggiunge dei dolcetti secchi, poi i mitici “bibanesi” e poi qualche busta di salame e affettati vari.
I visitatori aumentano: non solo locali, ma da ogni parte del mondo, dal Giappone, dall’Australia, da UK e USA. Niente ha più forza del vecchio buon “passaparola”.
Cosa piace del casale ora ristrutturato e divenuta la mitica Osteria senz’Oste in quel di Santo Stefano, Treviso?
Piace il luogo, piace la pace, piace soprattutto come funziona.
Tu entri, prendi quello che desideri che siano due uova sode, un analcolico, un pacchetto di biscotti e una bottiglia di prosecco, ti calcoli il prezzo guardando le etichette, batti il tuo scontrino su una piccola cassa automatica, paghi e prendi la tua ricevuta. Nessuno ti controlla, nessuno ti contesta.
“Pochi fanno i furbi”, ci racconta Cesare, ma “sempre più gente arriva, vedete i messaggi? Sono dappertutto, persino sul soffitto.”
E’ vero.
Provate voi stessi: raggiungete Osteria senz’Oste e troverete gruppi che ammirano il panorama, altri che parlano del più e del meno, altri che, magari, hanno portato la chitarra e strimpellano tra un sorso di Cartizze e uno di acqua.
Sono gli stessi che, poi, fanno due conti, mandano uno del gruppo a pagare alla cassa e, prima di andarsene, fanno la raccolta differenziata nei bidoni nell’angolo del cortile, osservati dalla mucca e dalla vitella che, placidamente, ruminano nella stalla accanto alla cucina.
Economia dello scambio non proprio, eppure qualcosa di molto simile, aprire la porta di un tuo posto a sconosciuti, investire (la catapecchia non è più catapecchia, Cesare ha fatto una leggera ristrutturazione mantenendo il carattere rustico) non tanto per guadagnare, ma perché è bello, fa bene e piace, forse solo per migliorarsi il karma o per dimostrare a se stesso e agli altri che si può.
Ci siete già stati all’Osteria Senz’Oste?
Che ne pensate?